UN VELO PER LE DONNE C'E' ANCHE IN OCCIDENTE (ARTICOLO)

Un velo per le donne c' è anche in Occidente

Repubblica — 27 settembre 2000   pagina 48   sezione: CULTURA

Negli anni Venti, quando Matisse dipingeva le sue solitarie e vulnerabili odalische (Con pantaloni rossi, Con pantaloni grigi, Con le braccia alzate), in Turchia Kemal Ataturk liberava le donne dal velo e dalle leggi che le privavano di ogni diritto, arrivando a concedere loro il voto politico nel 1934 (in Italia le donne votarono per la prima volta nel 1946). Gli harem erano stati smantellati nel 1909 dal movimento dei Giovani Turchi che vedevano nella reclusione delle donne il maggior ostacolo alla democrazia e al progresso del paese. Il Sultano fu costretto a liberare le sue schiave, diventate cittadine della prima repubblica della storia musulmana, come ha raccontato l' anno scorso, con malinconica grazia, l' italo turco Ferzan Ozpetek nel suo film Harem Suare. Ma mentre le riviste turche pubblicavano foto di studentesse universitarie o donne soldato, le fantasie degli uomini occidentali continuavano a riferirsi ad harem invalicabili, in cui le donne d' Oriente, come prigioniere voluttuose, se ne stavanno sdraiate seminude e ingioiellate su sofà di broccato, a fumare oppio, ad aspettare passive e perdute l' arrivo del Califfo, del padrone, dell' amante, per donargli sottomesse ogni piacere. Davanti alla Odalisca coi pantaloni rossi al museo d' arte moderna di Parigi, al Bagno Turco e alla Grande Odalisca di Ingres al Louvre, Fatema Mernissi un po' si è offesa un po' si è incuriosita: cosa avevano a che fare quelle opulente donne carnali e letargiche con le eroine dipinte sulle meravigliose miniature musulmane, come la principessa Shirin raffigurata in sella al suo purosangue, armata di arco e frecce, o la regina Nur Giahan intrepida cacciatrice di tigri? Dove era finita l' astuta Shahrazad che nelle Mille e una notte, con la sua sapienza politica e la sua duttilità culturale, tiene in scacco re Shahryar, impedendogli, notte dopo notte, di mandarla a morte? La Shahrazad d' Oriente è descritta nelle prime pagine del libro come una fanciulla che "aveva letto i libri di letteratura, filosofia e medicina. Conosceva a memoria la poesia, aveva studiato i resoconti storici, ed era ferrata nei proverbi degli uomini e nelle massime di saggi e re. Era intelligente, ben informata, saggia e raffinata". Perché allora, arrivata in Occidente con la prima traduzione in francese nel 1704, la Shahrazad intellettuale andò perduta, divenne una sciocchina tutta creme e veli per le letture di corte, poi, agli inizi del ' 900, con il balletto di Nijinsky, una esotica sporcacciona che ispirò la moda per grandi dame di Poiret, per finire negli anni ' 40 a Hollywood dove, privata della capacità di dialogare, servì da modello per il genere vamp, distruggitrice erotica di fragili maschi mediante danze del ventre da varietà? Fatema Mernissi è una bella grande donna marocchina di sessant' anni, diventata nota in Europa e negli Stati Uniti per aver iniziato il suo primo fortunato libro autobiografico, La terrazza proibita (pubblicato in Italia da Giunti nel 1996) con la frase "Venni al mondo nel 1940 in un harem di Fez". Grandissima curiosità e ammiccamenti, allora, immaginando appunto la maggior parte della gente che incontrava una sua vita esotica ed erotica, succube e profumata, dentro la prigionia degli spazi femminili di una ricca casa borghese musulmana. I suoi interlocutori si trovarono invece a conversare ad altissimo livello con una donna dalla testa avvolta in uno specie di sgargiante turbante, la bocca color fuoco Chanel, un gran tintinnare di gioielli berberi, spiritosa, aggressiva, una signora dell' Islam che gira il mondo da sola, che ha completato la sua formazione accademica alla Sorbona e alla Brandeis University negli Stati Uniti e che adesso insegna sociologia all' università Mohammed V di Rabat. Coltissima, sapiente della magnifica storia araba antica, anche di quella orale e leggendaria, conoscitrice profonda del Corano, sempre in viaggio nel mondo musulmano a registrare la condizione femminile, dove migliora e dove peggiora, torna adesso in Italia con L' harem e l' Occidente (editore Giunti, pagg. 190, lire 28.000): arrivando con questo libro ad una conclusione sorprendente per molti ma prevedibile per chiunque, in questi giorni, abbia visto due film appena usciti, l' iraniano Il cerchio di Jafar Panahi (Leone d' oro alla mostra di Venezia), e l' americano Il dottor T. e le donne di Robert Altman. E cioè che non solo le donne musulmane ma anche quelle occidentali, sono chiuse in un loro harem particolare, sono nascoste da un loro personale chador, sono costrette a una diversa eppure ugualmente perenne frustrazione, al disagio, a una forma di invisibilità. "Mentre l' uomo musulmano usa lo spazio per stabilire il dominio maschile escludendo le donne dalla pubblica arena, l' uomo occidentale manipola il tempo e la luce. Egli dichiara che la bellezza, per una donna, è dimostrare quattordici anni". Tutto, la moda, la pubblicità, la televisione, i sogni stessi degli uomini, relegano la donna nell' apparenza forzata dell' adolescenza, la condanna a un' ossessiva attenzione sul suo aspetto, a percepire l' età, il passare inevitabile del tempo, come una vergognosa svalutazione. Ed ecco che le donne velate del Cerchio, che si aggirano inquiete nelle strade ostili, braccate dal sospetto e dallo sguardo nemico degli uomini, paiono davvero l' altra faccia, più sinistra certo, ma non meno ansiogena, delle belle ragazze del dottor T., tutte magre, tutte uguali, tutte bionde, tutte eleganti, tutte libere, che si aggirano in folla solitaria nei nuovi harem occidentali, i grandi magazzini, le palestre: dove, deprivate, immalinconite, dall' ossessione della bellezza e dei consumi, aspettano di sottoporsi allo sguardo assente degli uomini. "Gli Ayatollah mettono l' accento su di te come donna, insistendo sul velo. Qui (a New York) se hai i fianchi larghi, sei semplicemente fuori dal quadro. Scivoli nel margine della nullità. Puntando il riflettore sulla femmina preadolescente, l' uomo occidentale vela le donne più vecchie, quelle della mia età, avvolgendole nel chador della bruttezza". Il tempo è usato contro le donne in Occidente allo stesso modo in cui a Teheran lo spazio è usato dai despoti iraniani: per fare sentire le donne non gradite e inadeguate. "L' obiettivo rimane identico in entrambe le culture: le donne occidentali che consumano il tempo, guadagnano esperienza con l' età e divengono mature, sono dichiarate brutte dai profeti della moda, proprio come le donne iraniane che consumano lo spazio pubblico". Ricca delle incantevoli storie arabe di schiave diventate regine per la loro intelligenza o di odalische contese come costosi tesori dai califfi per la loro capacità di poetare, Fatema Menissi è risalita lungo il sentiero di quella che lei considera l' attuale barbarie occidentale verso le donne, e ha trovato il suo profeta negativo nel filosofo tedesco Immanuel Kant e nel suo libretto pubblicato nel 1764 Osservazioni sul sentimento del Bello e del Sublime, per il quale il femminile è il Bello, il maschile il Sublime. Tanto che se una donna si incuriosisce al sublime, cioè alla conoscenza, viene subito punita, diventando brutta, perdendo ogni fascino femminile. "Era crudele come la minaccia dei fondamentalisti, o vai velata e sicura, o non velata e aggredita". Secondo la turbolenta e ironica scrittrice magrebina (ma per la verità anche secondo una gran quantità di pensatrici o semplici furbone occidentali) in ogni luogo, sotto ogni religione, in democrazia o nella tirannide, gli uomini spaventati dalle donne, hanno tentato, tentano di arginarle, isolarle, renderle impotenti, con le leggi ma anche con mezzi subdoli e impercettibili. Però, senza offesa, pare che oggi si trovino peggio quelle che vivono nei paesi islamici. Sì, dice Fatema, ci sono degli estremisti, in Afghanistan e Algeria, "che uccidono le donne per la strada, ma lo fanno perché sono estremisti, non perché sono musulmani, e fanno la stessa cosa con chiunque, anche maschio, voglia introdurre il pluralismo nella dinamica politica". In Iran, dove gli Ayatollah hanno dovuto istituire una speciale "polizia morale" per controllare la tendenza delle donne a ribellarsi a ogni imposizione, nelle elezioni di febbraio, e con il sostegno delle donne, i riformisti hanno vinto con il 70% dei voti. Occultate nel chador, armate di cultura e capacità di lotta come le eroine delle miniature arabe e dei racconti Moghul, padrone della parola e della fantasia come Shahradaz e oggi anche della tecnologia cibernetica, le donne musulmane dell' era globale paiono abbattere ogni muro dell' harem simbolico che le divide dal mondo pubblico e maschile. Secondo la scrittrice, ci sono più donne docenti universitarie in Egitto che in Francia e Canada, la percentuale di studentesse di ingegneria in Turchia e Siria è il doppio di quella in Olanda e Inghilterra, mentre in Algeria e Egitto è più alta che in Spagna e Canada. "Un terzo di tutti gli scienziati e tecnici della Repubblica Islamica dell' Iran sono dame velate (esattamente il 32,6%). Gli sceicchi del Kuwait impregnati di petrolio ancora negano alle donne il diritto di voto ma le loro mogli e le loro figlie puntano sull' essenziale: il 36% della "forza lavoro" scientifica in questi paesi è costituita da donne". Coprendo completamente il suo corpo secondo la legge, sembra dire Fatema Mernissi, la donna musulmana ha usato questa sua invisibilità pubblica per conquistare spazi e potere da cui non potrà più essere privata. Esibendo la sua bellezza e la sua giovinezza come unico valore ed arma, la donna occidentale ha svalutato la sua forza, si è imprigionata da sola nella ferocia di un breve spazio di vita, non si è fidata né della sua intelligenza né della sua fantasia, consegnandosi ancora una volta alla benevolenza degli uomini. - di NATALIA ASPESI

Commenti

Post più popolari