EDITORIA DECLINATA AL FEMMINILE, UNA PICCOLA GRANDE STORIA (ARTICOLO)

Anno di nascita 1975, quando vedono la luce vere e proprie case editrici. Molte sono scomparse ma il loro esempio ha condizionato le scelte dei grandi editori, i cui cataloghi sono ora pieni di testi di donne

EDITORIA DECLINATA AL FEMMINILE, UNA PICCOLA GRANDE STORIA

Assodato che, al giorno d'oggi, per continuare a fare gli editori - editori effettivi, non spacciatori di patacche - è necessaria una buona dose di temerarietà, da raddoppiare in caso di declinazione al femminile, può essere molto istruttivo andare a verificare come se la cavano quelle temerarie che continuano ad editare libri di donne. Ce la fanno ancora, tra i Codici pseudo-satanici e le raccolte di ricette e battute - queste sì veramente infernali - a conquistarsi un posto in libreria? Per dare una risposta bisognerà attraversare l'editoria femminile, prendendo la rincorsa da lontano e precisamente dal 1975.
Madamine, il catalogo è questo
Anno propizio alle donne, il 1975, o meglio, reso propizio dalla nascita quasi in contemporanea delle prime importanti riviste femministe come Dwf, tuttora viva e produttiva, della Libreria delle donne di Milano, destinata a diventare un importante centro dell'elaborazione teorica femminista (tuttora edita I Quaderni di Via Dogana, l'ultimo dei quali dedicato al mondo del lavoro), e delle prime case editrici declinate al femminile. Come le Edizioni delle donne a Roma, La Rosa a Torino e La Tartaruga a Milano. Delle tre, soltanto una è arrivata a festeggiare i trent'anni di vita, mantenendosi come una tipica - e tosta - trentenne di oggi: decisamente intelligente e molto consapevole di sé. «La Tartaruga ha sempre avuto una forte impronta - racconta Rosaria Guacci che dall'81 al ‘97 vi ha lavorato insieme alla fondatrice Laura Lepetit - che è poi l'impronta di Laura. Se pensi che tra i primi libri ha pubblicato Le tre ghinee di Virginia Woolf, se pensi che ha pubblicato libri come Il pensiero della differenza sessuale e tutte le grandissime - dalla Dorothy Parker alla Gordimer, da Alice Munro a Anita Desai - ti accorgi che Laura è stata un Adelphi al femminile. Ha mandato alle stampe i libri culto di donne che hanno segnato la storia». Ma ora che La Tartaruga non è più un'impresa gestita da due donne tanto intelligenti quanto temerarie, ma una collana, seppure autonoma, all'interno di Baldini Castoldi Dalai, si può ancora parlare di una sua specificità? Non ha dubbi Rosaria nel definire "l'anima tartarughesca": consiste «nell'estrema attenzione alle donne che hanno progetti e cose da dire, e che hanno segnato un punto nodale nella storia e nella cultura». E allora partiamo da qui, dalla giusta rivendicazione di aver allargato e fertilizzato il territorio culturale degli ultimi trent'anni, per compiere una rapida incursione nei cataloghi: in quello delle Edizioni delle donne (stesso anno di nascita ma vita decisamente più breve) che andiamo a rivisitare in compagnia di Elisabetta Rasy, una delle fondatrici, troviamo inchieste mirate al sociale su occupazioni di case e sui manicomi, i Diari di Ingeborg Bachmann e testi ad alto coefficiente di provocazione come Scoom! Manifesto per l'eliminazione del maschio di Valerie Solanas e Il corpo lesbico di Monique Wittig. «Le Edizioni delle donne - commenta Rasy - non erano una semplice appendice editoriale del movimento femminista. Ci inoltravamo nei territori di arte, politica, psicanalisi, senza alcun dogmatismo, in piena libertà». Altrettante buone sorprese riserva il catalogo di Astrea, la collana dell'editrice Giunti ideata nel 1986 da Roberta Mazzanti. «E' la prima collana che ha pubblicato le scrittrici dei paesi extraeuropei con un approccio sistematico - dice Roberta Mazzanti, giustamente orgogliosa dei suoi long-seller, come La terrazza proibita di Fatima Mernissi e Mi chiamo Rigoberta Menchu arrivato a 250.000 copie. Ora molte case editrici pubblicano queste scrittrici; evidentemente la specificità e l'innovatività delle imprese editoriali femminili hanno modificato l'editoria dal profondo». E' vero che spesso le donne sono andate a guardare dove nessuno ancora l'aveva fatto: basti pensare a quei libri pubblicati, a partire dal 1986, dalla casa editrice palermitana La Luna, che analizzano la mafia da prospettive insolite e illuminanti. Come La mafia in casa mia di Felicia Bortolotti Impastato, madre di quel Peppino Impastato fatto saltare in aria dalla mafia (Marco Tullio Giordana gli ha dedicato il film I cento passi). «Libri come questo, arrivato alla decima edizione, libri come Sole contro la mafia, o Sette gocce di sangue, il primo in Italia a parlare di infibulazione - dice Valeria Ajovalasit, fondatrice della casa editrice - sono ancora molto richiesti, nonostante La Luna non si serva più dei tradizionali canali di distribuzione». Analoghe difficoltà vengono denunciate da Luciana Tufani, altra temeraria che, non paga della rivista fondata a Ferrara nel 1980, Leggere Donna, ha voluto affiancarvi una piccola casa editrice che porta il suo nome e ospita collane di classici, narrativa contemporanea, saggistica e poesia. «Sono soddisfatta delle belle cose che faccio, ma se dovessi guardare solo all'aspetto economico... Si rischia di essere annientati dalla grande concentrazione». E Maria Rosa Cutrufelli, fondatrice e direttrice dell'indimenticata rivista Tutte storie - la cui avventura durò dal 1990, con un numero dedicato all'immaginario erotico, fino al 2001 - parla di «una vera e propria uccisione delle riviste e delle piccole case editrici da parte dell'organizzazione produttiva».
Che fare?
Dunque le cose stanno così: indubbiamente le piccole case editrici al femminile hanno svolto una funzione importantissima; diciamo che hanno fatto da battistrada, nella scoperta di molte autrici e nell'analisi di svariate tematiche, alla grande editoria. Forse voleva essere solo una battuta, ma è comunque fondata la rivendicazione di Valeria Ajovalasit, di un'azione di mainstreaming compiuta con qualche anno di anticipo sulla conferenza mondiale di Pechino. Ora, però, da una parte la grande editoria ha accolto largamente le donne nei suoi cataloghi, dall'altra, i problemi connessi alla concentrazione editoriale e alla distribuzione rischiano di soffocare quelle imprese al femminile che ancora resistono. Che fare? C'è ancora bisogno di una specifica editoria al femminile, e se questo bisogno si avverte, quale strada percorrere? Roberta Mazzanti non ha dubbi al riguardo: «C'è ancora l'esigenza di un impegno di ricerca più approfondito. In Astrea non abbiamo pubblicato solo buone scrittrici, ma le abbiamo pubblicate nel momento in cui questo assumeva un significato politico: di presa di coscienza e di denuncia, di volontà di esercitare un influsso innovativo sulla mentalità e sui gusti collettivi». E' questa esigenza a mantenere in vita riviste come Leggendaria, trimestrale di libri letture linguaggi fondato e diretto da Annamaria Crispino che si avvia a festeggiare con grinta il 50° numero. Per cercare di aggirare l'ostacolo della distribuzione, c'è chi si affida all'antico e collaudato passaparola delle lettrici, chi alle nuove risorse offerte da Internet: distribuzione on line. Ci sono diversi periodici femministi che vivono esclusivamente in rete. Non è facile, certo, ma se è vero che è cosa buona, non solo dal punto di vista culturale ma anche politico, che ora i libri di donne - grazie al lavoro precedentemente svolto dalle piccole imprese femminili - sono ampiamente presenti in tutte le case editrici, è altrettanto vero che può, e deve essere mantenuto, uno spazio di ricerca e di approfondimento. Anche il poter continuare ad esercitare in piena autonomia un influsso sulla mentalità e sui gusti collettivi ci sembra "cosa buona e giusta".

Maria Vittoria Vittori
Liberazione, 30 marzo 2005

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